Prestiti a rischio sofferenza: una mina da 117 miliardi per le banche

Attualità — By on 2017/05/25 11:46

Arrivano in grandissima parte dalle società non finanziarie le inadempienze probabili, ovvero i prestiti erogati da una banca che ritiene improbabile incassare integralmente il rimborso da parte del cliente. Il gergo bancario li chiama “unlikely to pay” (Utp), erano i vecchi “incagli” e un report di Pwc ne mette in evidenza la vitale importanza per tutto il sistema.

Nelle banche ce ne sono infatti per 117 miliardi. Apparentemente è meno del valore delle sofferenze (200 miliardi) che hanno monopolizzato l’attenzione in questi ultimi tempi. Ma se si ragiona in termini di valori netti a bilancio, cioè considerando rettifiche e garanzie, gli Utp passano davanti con 86 miliardi contro gli 85 delle sofferenze.

Elaborando i dati di Bankitalia, Pier Paolo Masenza e Alessandro Biondi spiegano che per l’85% dei casi il credito Utp riguarda il mondo corporate, per l’8% famiglie che hanno chiesto l’erogazione di un mutuo per comprare casa, per il 5% le piccolissime imprese a conduione familiare e per il 2% il credito al consumo. La loro analisi dimostra che, nel corso del 2016, la maggior parte di questo stock di crediti (57%) è rimasto catalogato come inadempienze probabili. Nel 5% dei casi sono stati riabilitati a crediti performing, nel 12% dei casi si tratta di prestiti che hanno ricominciato a fluire nelle casse delle banche, e nel 21 per cento dei casi sono passati a non performing.

“Il portafoglio delle inadempienze probabili in Italia mostra un’elevatissima concentrazione: l’83% è concentrato tra le 10 maggiori banche (era l’81% a fine 2015) ed il 93% è invece riferibile alle maggiori 20 banche (in linea con il 2015)”, dice lo studio. “Osservando il trend di progressivo calo del volume complessivo” delle inadempienze (-8% nel 2016 rispetto al 2015 e -3% a fine 2015 vs. 2014), “questo accomuna tutte le maggiori banche italiane, con le eccezioni di Carige (+15%), BPM (+4%), Banca Popolare di Vicenza (+4%) e Veneto Banca (+25%)”. Secondo Pwc, “l’urgenza di una gestione mirata dei delle inadempienze probabili è confermata dall’incidenza rispetto ai volumi complessivi di esposizioni non performing: considerando le 20 maggiori banche italiane, il 37% di queste ultime è rappresentato appunto da Utp, mentre per 12 istituti tale quota è superiore al 40%, un’incidenza fortemente significativa”.

Secondo Masenza e Biondi, le nuove linee guida delle Bce nella gestione di tutta la filiera delle esposizioni non performing delle banche sono un’occasione da cogliere, oltre che una spinta normativa, da parte delle istituzioni finanziarie italiane. I dati “confermano la necessità di andare a focalizzarsi su questo stock con soluzioni e strumenti ad hoc”, che vanno dalla classificazione del credito “con un approccio da ‘due diligencè su ogni debitore”, al ricorso a indicatori “di ‘early warning’, basati su fonti interne ed esterne, per anticipare possibili movimenti e profili della posizione”. A ciò si aggiunge che la transizione al principio contabile Ifrs9, in vigore dall’1 gennaio 2018, “introdurrà un differente approccio di valutazione, con la possibilità che una maggiore quota del portafoglio crediti debba essere classificata tra le categorie più rischiose. Le banche dovranno prevedere accantonamenti sulla base delle perdite attese e non solo all’occorrenza di specifici eventi (da impairment test). Dovranno quindi adottare un approccio che guarda al futuro al fine di anticipare e prevedere perdite ai primi segnali di deterioramento del credito”.

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